Data dell’articolo
16 Mag 2021
Tag
Festività
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Festività
Shri Adi Shankaracharyaji
Nella panchami-tithi della quindicina chiara della luna (shukla-paksha) del mese vaishaka (aprile-maggio) ricorre l’anniversario della nascita di Shri Adi Shankaracaryaji.
Nato sotto i migliori auspici, Shankara, anche noto come Shri Adi Shankara, il “Grande Maestro Shankara”, illumina il firmamento della storia religiosa e filosofica dell’India risplendendo, sempre più, anche nel resto del mondo.
Mistico e monaco, Guru, filosofo, compositore, teologo, riformatore, umile tra gli umili, perfetto tra i perfetti, incarnazione stessa, avatara, del Dio Shiva … Adi Shankara è una figura poliedrica, che mal si adatta a essere confinata nei recinti di classificazioni nette e stereotipate senza correre il rischio di limitarne la grandezza; può essere pertanto definito “indefinibile”, anirvacaniya, utilizzando la stessa attribuzione che egli conferisce all’Assoluto, Brahman.
Cenni sulla sua vita
Tracciare la vita di Santi e Mistici, soprattutto in India, non è un’impresa semplice perché non sempre si hanno riferimenti storici e biografici attendibili o su cui tutti concordano. Inoltre, le biografie tradizionali, o per meglio dire le agiografie, sono intrise di eventi miracolosi che educano e incoraggiano il devoto, ma che potrebbero scontrarsi con un certo desiderio di rigore logico.
A questo proposito, è interessante soffermarsi a riflettere sul perché Adi Shankara, che pure scrisse fiumi di commentari e fior fior di opere, non specificò mai, volutamente, nessun particolare sulla sua nascita.
Come poteva colui che insegnava a superare i veli dell’illusione ed esortava gli esseri a ricercare la Verità, oltre la vita e la morte, dare importanza a questi aspetti così effimeri?
Il bisogno di collocare gli accadimenti nel tempo e nella storia è tipico del mondo moderno e occidentale, ma è quasi del tutto assente nel contesto indiano, laddove l’attenzione è soprattutto incentrata sul messaggio e sull’insegnamento che Maestri e Scritture hanno trasmesso.
Detto questo, sebbene la data di nascita di Adi Shankara incontri pareri divergenti, tutte le biografie concordano che egli visse solo 32 anni.
Queste biografie dettagliate sono numerose e sono, generalmente, conosciute come Shankaravijaya o Shankaradigvijaya.
Le due maggiori teorie relative alla data di nascita lo collocano, la prima, nel 788 d.C.; la seconda, sostenuta soprattutto dal Kanchi Kamakoti Matha del Tamil Nadu, nel V secolo a.C.
Sono molti gli episodi della sua vita che meriterebbero di essere raccontati, qui ci si limiterà ai principali.
Shri Adi Shankara nacque a Kaladi, nell’odierno Stato del Kerala, da Shivaguru e Aryamba, una coppia di brahmani Nambudiri.
Si racconta che questi due coniugi, molto pii ed eruditi sulle Scritture, non riuscivano ad avere figli, così pregarono il Dio Shiva. Egli stesso apparve e offrì loro la possibilità di scegliere tra la nascita di un figlio che sarebbe diventato un Maestro, saggio ed evoluto, ma che avrebbe avuto una vita breve, e la nascita di più figli senza particolari qualità ma che avrebbero vissuto a lungo.
Shivaguru e Aryamba chiesero a Shiva di scegliere quale fosse l’opzione migliore che avrebbe portato beneficio all’umanità e … ovviamente prevalse la prima!
La tradizione riconosce in Shankara un’incarnazione del Signore Shiva stesso. Egli nacque dal grembo di Aryamba per riportare il bene, dharma, che a quel tempo stava decadendo insieme con l’induismo vessato da più parti: da un lato, dalla condotta inappropriata dei sacerdoti che avevano ridotto le prescrizioni vediche a un ritualismo sterile e meccanico; dall’altra, trovava l’opposizione del buddhismo, del jainismo e dei materialisti che, per motivi diversi, ne contestavano la validità e l’autorità.
Al bambino che nacque fu dato il nome di Shankara, “Colui che compie il Bene”, il “Benevolo”.
Fin dall’infanzia il piccolo Shankara mostrò un carattere amabile, una spiccata intelligenza e doti fuori dal comune.
Purtroppo, il padre Shivaguru morì presto, ed egli dall’età di tre anni fu allevato dalla madre. Fu lei a compiere la cerimonia dell’upanayana quando ebbe cinque anni.
Nei suoi scritti, Shankara afferma che due care amiche lo accompagnavano sempre: la morte e la conoscenza. Segnato dal lutto precoce, presto comprese la transitorietà della vita e sviluppò il desiderio di intraprendere la vita monastica.
Perché ciò avvenisse, serviva il permesso della sua amata madre.
Il karma volle che un giorno, mentre Shankara era immerso nella acque del fiume Purna, un coccodrillo afferrò la sua gamba. Fu allora che egli chiamò la madre e la scongiurò di concedergli il permesso di divenire un samnyasin, un monaco rinunciante, perché ormai la sua vita sembrava giunta al termine. Aryamba, disperata, non poté che accontentare il volere del figlio. Ma a quel punto successe un fatto davvero singolare: il coccodrillo lasciò la presa e se ne andò. Shankara aveva appena otto anni quando iniziò la sua vita di monaco. Prima di congedarsi da sua madre e andare alla ricerca di un Guru che formalizzasse i suoi voti, le promise che sarebbe tornato da lei e avrebbe celebrato i suoi funerali; fatto questo insolito per un samnyasin, che di fatto abbandona ogni tipo di dovere rituale e familiare. Ma Shankara fece una promessa e la mantenne con solenne rigore e con amore filiale, ponendosi anche in una posizione di rottura verso la rigidità e il formalismo nei quali era caduta la società del tempo.
In una grotta nei pressi del fiume Narmada, Shankara incontrò il suo Guru Govinda Bhagavadpada, discepolo del grande Gaudapada, che lo stava attendendo da tempo.
Si narra che quando Sri Govinda Bhagavadpada chiese a Shakara chi fosse, egli sciorinò alcuni versi sublimi (Dashashli) che racchiudono i principi fondamentali della dottrina advaita di cui egli fu il principale promulgatore.
Dopo un periodo di disciplina austera sotto la guida del suo Guru, Shankara iniziò a peregrinare per l’India. La sua prima “tappa” fu la città sacra di Kashi. Lì, incontrò molti eruditi e sacerdoti, pandit, con in quali intavolò dibattiti, sostenne disquisizioni filosofiche e dottrinarie fino a confutare le tesi di molte scuole di pensiero, prima tra tutte quella dei mimamsaka, incentrati prevalentemente sull’esatta esecuzione del rituale.
Celebre a questo proposito fu la disputa, tenutasi a Mahishmati, che ebbe con Mandana Mishra, uno dei massimi esponenti di questa scuola, il quale, una volta sconfitto, divenne uno dei suoi migliori discepoli: Sureshvara.
Nel corso di questi suoi viaggi, Shankara incontrò i discepoli che lo avrebbero poi seguito fino alla fine dei suoi giorni.
Tra questi, i più importanti furono, oltre a Sureshvara, Padmapada, Hashtamalaka e Totaka.
Tra i numerosi episodi rilevanti della sua vita, degno di nota è sicuramente quello del suo incontro con un chandala, un intoccabile, e il suo cane. Dopo essersi immerso nelle acque sacre della Ganga, un chandala apparve sulla strada di fronte a Shankara. La prima reazione del Maestro fu di irritazione a quella vista e così intimò al poveretto di allontanarsi. Fu allora che il chandala, di tutto petto, gli si rivolse chiedendogli a chi si riferisse, se al corpo umano o al Sé, Atman, in esso racchiuso.
Immediatamente Shankara comprese che, di fronte a lui, vi era un’anima realizzata, che rimosse anche l’ultima traccia di illusione ancora presente in lui.
Nel suo viaggiare, Shankara stabilì, nei quattro punti cardinali dell’India (Shringeri, Puri, Dvarka e Bhadrinath), quattro monasteri, Matha, al fine di preservare e diffondere gli insegnamenti della dottrina vedantica.
Un quinto fu stabilito a Kanchi. La scelta di quest’ultimo Shankara la fece dopo aver assistito a un evento particolare; vicino al fiume Tungabhadra vide un cobra che con la testa proteggeva dal calore aggressivo del sole una tartaruga, che stava dando alla luce i suoi piccoli.
A capo di ognuno di questi cuori pulsanti di spiritualità pose un suo discepolo. Nello Sharada Matha, a Shringeri, pose Sureshvara; nel Kalika Matha, a Dvarka, Hastamalaka; nello Jyotismatha, a Bhadrinath, Totaka; nel Govardhana Matha, a Puri, Padmapada.
A Shankara si deve anche la codificazione dei dieci ordini monastici ortodossi: Dashanami.
All’età di 32 anni, Shankara decise di lasciare il corpo. Alcuni ritengono che ciò avvenne nei pressi di Bhadrinath, in una grotta himalayana; altri sostengono invece che il Santo si ritirò presso il Kanchi Kamakoti Matha dove visse gli ultimi anni della sua vita prima di entrare nel maha-samadhi.
La filosofia advaita di Shankara
Adi Shankara fu il massimo esponente e promotore della visione monista dell’advaita-vedanta.
In estrema sintesi, il suo pensiero può essere riassunto in alcuni concetti basilari (che meriterebbero un approfondimento a parte!).
– Il mondo non è che illusione; dietro l’apparente molteplicità delle forme e dei nomi non vi è che la Realtà assoluta, Brahman.
– Ciò che vela questa Realtà è il potere dell’illusione, maya, essa stessa proiezione del Brahman; l’esempio classico che si offre è quello di una corda che è scambiata per un serpente, nella penombra del crepuscolo.
Maya nasconde il Brahman che può essere definito come Sat-cit-ananda, Realtà-consapevolezza-beatitudine.
– Lo scopo dell’uomo, dell’anima vincolata (jiva) è quello di riscoprire la naturale identità con il Brahman, attraverso la discriminazione, viveka, e la conoscenza, jnana, tra il reale, nitya, e il non-reale, anitya.
Tale realizzazione è possibile sottoponendosi a una disciplina rigorosa, sadhana.
La sadhana prevede una qualificazione che consiste nel possedere sei virtù fondamentali, shat-sampatti, indispensabili al percorso di crescita.
– Quando il jiva, l’anima vincolata, realizza la sua vera natura, non è più condizionato dalla dualità e dall’illusione. È libero e, una volta esaurito il suo karma già attivo, prarabda, non rinasce più.
Le sue opere
Shankara fu un autore molto prolifico. Le opere da lui composte sono solitamente suddivise in tre classi:
– Bhashya: commentari a Scritture fondamentali quali le Upanishad, i Brahma-sutra e la Bhagavad-gita. Questi tre insieme costituiscono la “Triplice Sorgente”, la Prashtanatraya.
– Prakarana: trattati sull’advaita-vedanta. Tra questi, l’Atmabodha, l’Upadesha-sahasri, il Vivekachudamani, solo per citarne alcuni.
– Stotra: inni di lode e canti devozionali. Tra questi il Bhajagovinda-stotram, e molti altri.
In conclusione
Adi Shankara seppe coniugare, nella sua vita breve ma intensa, conoscenza, jnana, devozione, bhakti, e azione, karma.
Il suo contributo al rinnovamento dell’induismo e della società indiana ha pochi pari; rivitalizzò la religione vedica; riorganizzò gli ordini monastici; stabilì dei monasteri per approfondire e diffondere la conoscenza della filosofia dell’advaita-vedanta.
Compose opere di impareggiabile bellezza e di rara e sofisticata grandezza spirituale e filosofica.
Visse come un umile tra gli umili, incarnando il Dio Shiva stesso per aiutare l’umanità a riscoprire il giusto cammino.