PICCOLA ENCICLOPEDIA

SCRITTURE

Le Scritture – Shruti

La Shruti è la rivelazione divina. Dalla radice sanscrita shru, “udire” indica la Conoscenza percepita dai saggi veggenti, rishi. Contiene valori universali validi in eterno. Sono considerati shruti, i Veda e le Upanishad. Tuttavia, alcune tradizioni includono anche altri testi. La Smriti si basa sull’autorità della shruti, ma è stata compilata dall’uomo. Adatta i valori eterni dei Veda alla contingenza storica determinando le norme e le osservanze sociali, familiari e individuali di ogni induista. Tra i testi della smriti vi sono i trattati dottrinali sui trivarga (dharma, artha, kama), in particolare quelli normativi, Dharma-shastra e Smriti; gli Itihasa, i Purana e i Nibandha.

Il Veda

Il Veda è la Conoscenza sacra, la Verità divina. Non ha subito l’intervento dell’uomo, apaurusheya, ed è eterno, anadi. Il Veda delinea i confini dell’ortodossia indù: è l’autorità suprema, pramana. In esso si ritrovano i fondamenti della cultura, della spiritualità, delle arti e delle scienze induiste. La compilazione del Veda è stata attribuita al rishi Vyasa. Egli lo trasmise oralmente ai suoi quattro discepoli che lo riunirono in grandi raccolte, samhita: il Rig-, lo Yajur-, il Sama- e l’Atharva-veda. Da questi rishi nacquero le diverse tradizioni spirituali, sampradaya. I Veda sono stati preservati intatti nel corso di millenni grazie alla straordinaria capacità mnemonica dei sacerdoti, brahmani, incaricati di trasmetterli e di custodirne la conoscenza. Significativa è l’immagine del Veda come un grande corpo, Veda-purusha, di cui ogni membro è costituito da una particolare Scrittura. Oltre alle quattro raccolte, il Veda comprende una serie di manuali di ritualistica, Brahmana; opere integrative, Aranyaka; testi speculativi ed esoterici, Upanishad; gruppi di testi ausiliari, Vedanga. Dai Vedanga, nati per decodificare gli insegnamenti del Veda, sorgono vere e proprie scienze come la fonetica, shiksha; la grammatica, vyakarana; la metrica, chandas; l’etimologia, nirukta; l’astrologia, jyotisha; la prassi rituale, kalpa. I Vedanga, redatti in forma di aforismi, sono conosciuti come Sutra. Nel Veda sono contenuti più di centomila versi, di raffinata poesia e misticismo. In essi si scorge la consapevolezza dell’unità e dell’interdipendenza che legano gli esseri viventi, il cosmo e Dio. La teologia vedica presenta una concezione dell’Universo retto da un ordine indefettibile, rta, sul quale sono orientati sia il macrocosmo sia la condotta umana, etica e sociale. Questo ordine si mantiene, secondo la religiosità vedica, sul sacrificio rituale, yajna rivolto alle Divinità invocate negli inni. Nel pantheon vedico si citano 33 milioni di Dei. Queste cifre sono solo simboliche ed esprimono le infinite funzioni di un Unico Dio assoluto senza secondo. A questo proposito, lo Shankaracarya di Kanchi, Sri Chandrasekharendra Sarasvati afferma: “I Veda ci rivelano la Verità dell’Uno nella forma di molte Divinità. L’adorazione di ciascuna di queste è come un ghat sul fiume chiamato Veda. […] Queste diverse forme sono come rami che hanno una radice medesima”.
 Approfondimento . . .

Upanishad

Le Upanishad sono conosciute anche come Vedanta, “la parte finale del Veda” o anche “il fine, la quintessenza del Veda”. Le maggiori sono 108. Si presentano nella forma di dialogo tra maestro e discepolo. Le Upaniṣad mantengono riferimenti al rituale, ma preferiscono un approccio speculativo. Si interrogano sui quesiti profondi dell’esistenza: la natura di Dio, dell’uomo, la morte, lo scopo della vita e la realizzazione spirituale. In esse si delineano i contorni della concezione del Brahman, l’Assoluto, dell’Atman, il Sé; della dottrina del karman; della fisiologia sottile propria dello yoga, e di molte altre ancora. La conoscenza, jnana, diviene il mezzo prediletto per poter sperimentare, l’identità tra sé individuale e Sé universale, Atman-Brahman.

Upaveda

Gli Upaveda, “Veda minori”, derivano tutti da un Veda. Considerati al confine tra shruti e smriti, essi contengono discipline importanti come la medicina, le arti, il buon governo e la scienza delle armi. Ayurveda è la scienza della vita. È tra i più antichi sistemi tradizionali di cura. Ha un approccio olistico alla malattia ed è strettamente legato alla via evolutiva dell’uomo. Ayurveda è un termine sanscrito composto da AYUS = VITA e VEDA = CONOSCENZA; è quindi una scienza che considera la vita nella sua totalità. L’ayurveda si basa sull’osservazione degli esseri viventi, nella loro completezza di corpo, mente, anima e indriya (sensi), nonché di tutto ciò li circonda: cibo, emozioni, stile di vita, linguaggio, clima, flora e fauna. Riferimenti all’ Ayurveda si hanno soprattutto nell’Atharva-veda. La storia delle cliniche e delle università ayurvediche ha oltre 3000 anni. È una medicina ampiamente impiegata in oriente e, oggi, molto diffusa anche nel resto del mondo. Inizialmente, l’ayurveda comprendeva solo otto discipline: Kaya Chikitsa, Bala Chikitsa, Bhuta Vidya, Urdhvanga Chikitsa, Shalya, Danshatra, Jara, e Vrista Chikitsa. Più tardi, si svilupparono molte altre branche. Nei tempi antichi, la chirurgia era molto avanzata. L’ayurveda, come le altre scienze, ha un’origine divina; fu portata agli uomini da Dhanvantari che emerse dal frullamento dell’oceano con raccolse l’amrita, il nettare divino che conferiva l’immortalità. Dhanvantari è anche considerato il padre della chirurgia. Il suo discepolo Susruta, scrisse un trattato classico sulla chirurgia plastica; le tecniche di rinoplastica descritte da Susruta sono tuttora seguite dai chirurghi.

Dhanurveda

E’ la scienza dell’uso delle armi, da dhanur che significa “arco”. Impiantato su un forte senso morale ed etico, il Dhanurveda affronta il problema della difesa e della guerra con scientificità e rigore. Descrive con minuzia di particolari il codice etico che i guerrieri dovevano osservare, i differenti tipi di armi, la formazione dell’esercito, la cura degli animali – soprattutto cavalli ed elefanti – impiegati in battaglia. I testi sono suddivisi in quattro sezioni: iniziazione dello studente, ruolo dello studente, maestria nell’arte delle armi e il loro uso. Le armi si distinguono in shastra e astra; efficaci le prime per il loro potere intrinseco e per l’abilità nell’usarle, le seconde per il potere evocato dal mantra. I guerrieri erano sottoposti a una disciplina severa e a regole ben precise tra cui il divieto assoluto di colpire i civili o i nemici che si arrendevano; la battaglia doveva essere circoscritta al campo di guerra; un guerriero non poteva essere attaccato durante i preparativi del combattimento o se disarmato; di notte, il campo nemico doveva essere rispettato e i combattimenti ripresi solo con la luce del giorno. L’uso delle armi era rigorosamente ristretto alla difesa dei deboli, degli asceti che svolgevano pratiche meditative, uomini santi, mendicanti, donne e bambini. In una cultura in cui il bene sommo, paramo-dharma, è la non-violenza, ahimsa, la guerra si mostrava come ultima alternativa per preservare il dharma, la giustizia. Un tema complesso, ancora estremamente attuale, quello di conciliare la non-violenza e la necessità di difendere i principi del bene anche con la guerra. Questo si colloca nella visione stessa della manifestazione retta sugli opposti che di per sé non hanno valenza negativa; infatti, nella società vedica nessun valore era posto come assoluto, dal momento che tutto nella manifestazione è comunque relativo. La tradizione vuole che i 6000 versi del Dhanurveda siano stati trasmessi dal Signore Shiva a Parashurama, da cui proseguì la tradizione (paramparaya) con Vasishtha, Vishvamitra, Drona, Bhoja e ancora altri. Il Dhanurveda si fonda principalmente sullo Yajur-veda ed era indirizzato alla classe dei guerrieri, kshatriya il cui scopo primario era la difesa del popolo e del dharma.

Gandharvaveda

è la scienza della musica e della danza. La recitazione del Veda, in particolare del Sama-veda, accorda grande importanza alla notazione, al suono, con enfasi al canto musicale. Già nell’India antica troviamo riferimenti a una ricca varietà di strumenti: a percussione, a fiato, a corde, molti dei quali sono sopravvissuti fino ad oggi. Questo ha la sua eco in una raffinata teologia e scienza del suono che ha pochi, forse nessun, pari al mondo. La manifestazione è pura vibrazione; il suono è potere creativo; la conoscenza del mantra e della musica diviene mezzo per riscoprire questa realtà originaria. “Colui che conosce le sfumature del suono del liuto, grazie alla conoscenza della shruti e della combinazione delle scale delle note, e ha la comprensione di ciò che è reale, senza sforzo raggiunge il fine ultimo, moksha.” L’interrelazione tra tutti gli esseri del creato è la stessa che esiste tra le note musicali; la manifestazione è una straordinaria melodia, raga, nel quale le note, componendosi, deliziano la mente. Il Gandharvaveda offre una visione globale delle arti che ispira ed educa gli artisti a un’esperienza intima per scoprire e realizzare la propria Natura essenziale. Grandissima importanza ha l’espressione artistica nella quale si realizzano i principi dell’estetica indiana. Arte significa interpretare il bhava, sentimento ed emozione, e il completamento di questa espressione è il rasa. Rasa è l’esperienza estetica, è la qualità di comunicare tra l’artista e lo spettatore, è la bellezza dell’arte presentata dall’artista che offre una straordinaria chiave di lettura delle emozioni umane. I concetti di “emozione” e “sentimento” nell’esperienza estetica ricorrono significativamente in un termine che denomina una delle sei danze classiche dell’India, il Bharata Natyam. Natyam significa rappresentazione teatrale, e Bharata non sembra riferito semplicemente al saggio Bharata, che codificò il trattato per eccellenza sulla danza e la musica, il Natyashastra. Il significato semantico del termine affiora dalla suddivisione della parola in ba=bhava ra=raga ta=tala, quindi “rappresentazione di sentimenti attraverso una struttura melodica su una base ritmica”. Nella danza i differenti ruoli dell’artista caratterizzano le emozioni, bhava, e gli stati d’animo. Come nella realtà, a seconda delle situazioni, si assumono differenti ruoli: una persona, ad esempio, rimanendo sempre se stessa, può essere padre-madre, fratello-sorella, figlio-figlia, marito-moglie, amico-amica, così l’artista interpreta la vita. Nella vita, il Sé è distinto dai ruoli, esattamente come l’artista dai personaggi che interpreta. Similmente nell’arte avviene qualcosa di sublime, il bhava evoca un rasa. L’artista può aiutare a comprendere il “gioco della vita”, a non immedesimarsi nei ruoli, ma a ricordare sempre che il vero Sé è un testimone. Così è per i mistici e i saggi che hanno conosciuto l’immutabile Sé e che vivono la creazione in piena libertà ed armonia; le loro esistenze sono un gioco del Signore e le loro emozioni, bhava, abbelliscono le loro vite come rasa. Lo stesso significato di rappresentazione estetica si ha nella musica, nell’infinita combinazione delle note che rappresentano gli elementi della natura, che racchiudono il sommo mistero della creazione nella sua forma più sottile: la forma vibratoria del suono.

Artha-shastra

è il trattato di politica, amministrazione dello stato, commercio. Tra gli scopi fondamentali dell’uomo, purushartha, l’artha è il benessere sia materiale che spirituale di tutte le creature che vivono in armonia con il dharma. Il trattato definitivo sull’Artha-shastra è attribuito a Kautilya, consigliere del grande imperatore Candragupta, e risale al IV sec. a.C. L’origine dell’Artha-shastra è menzionata nello Shanti-parvan del Mahābhārata. Si narra che il Signore Brahma trasmise questa conoscenza per garantire l’armonia e la pace nella società. L’opera originariamente consisteva di centomila capitoli relativi al dharma, al kama e all’artha. Tuttavia, divenendo la vita dell’uomo sempre più breve, con il decadere delle ere, yuga, Shiva semplificò il testo riducendolo a diecimila capitoli.

Le Scritture – Smriti

Sutra

Kalpasutra

Basati sulla tradizione, shruti, questi testi forniscono istruzioni per la celebrazione dei riti solenni, yajna. Nascono da una rielaborazione dei Brahmana. Nel corso dei secoli, acquistano un carattere sempre più oscuro.

Shulvasutra

Supplemento ai Kalpasutra. Sono una fonte preziosa di conoscenza della matematica vedica. Nello specifico trattano la misurazione (shulva significa “corda”) e la costruzione degli altari, vedi, per il rituale del fuoco. Smartasutra: tutti i testi che si basano sulla smriti, ovvero su ciò che nella tradizione non è espresso esplicitamente; si occupano generalmente dei riti familiari e domestici e dei doveri sociali.

Grihyasutra

Testi che disciplinano i rituali, samskara, e altre cerimonie, celebrati dai capifamiglia, spiegandone la procedura, il sutramantra usato e l’aspetto sociale. Dharmasutra: testi (direttamente correlati ai Grihyasutra) in cui sono specificati i doveri sociali in riferimento alla propria appartenenza o stato sociale.

Shastra, i Trattati dottrinali

I testi dottrinali, shastra, hanno per oggetto i tre scopi della vita umana, trivarga, (dharma, artha e kama). In particolare quelli legati al dharma sono noti come Dharma-shastra. I Dharmashastra possono essere considerati il codice civile e penale dell’ India antica. Alcuni testi sono tenuti in considerazione, ancora oggi, dall’Alta Corte indiana, in certi casi relativi agli induisti. Essi comprendono, infatti, le leggi relative ai doveri religiosi, morali e sociali. Questo gruppo di testi, noti anche come smriti, sono ascritti a 18 rishi: Manu, Yajnavalkya, Parashara, Gautama, Harita, Yama, Vishnu, Shankha, Likhita, Brihaspati, Daksha, Angiras, Pracetas, Samvarta, Acanas, Atri, Apastamba, Satapata. Questi saggi avrebbero attinto tali indicazioni direttamente dai Veda e trascritte in testi quali la Manu-smriti, la Yajnavalkya-smriti, esplicitando quanto è lecito sapere in relazione al dharma, ai riti e ai sacramenti che uomini e donne devono rispettare nel corso della loro vita. I trattati legati all’artha sono invece relativi al buon governo, alla politica. Il più celebre è l’Artha-shastra, attribuito a Kautiliya o Canakya. Si tratta di un compendio sulla politica, l’amministrazione e l’economia. Celebre è invece il Kama-sutra di Vatsyayana riguardante l’arte amatoria. In esso si trattano anche le 64 arti dalla danza, al canto, alla pittura, così a seguire.

Itihasa, “così invero fu”, insegnamenti antichi

Gli Itihasa costituiscono l’epica indù. Composti non solo in sanscrito, ma anche nelle lingue vernacolari, esprimono i complessi insegnamenti dei Veda e delle Upanishad in forma di racconti e miti, rendendoli così accessibili a tutti gli strati della società. Sono incentrate su figure umane e divine, modelli ideali per realizzare i quattro scopi della vita, purushartha: dharma, artha, kama e moksha. I due Itihasa principali sono: il Mahabharata e il Ramayana.

Mahabharata

Il Mahabharata, opera di Vyasa, è una grande epopea che descrive la guerra tra due famiglie, i Kaurava e i Pandava, nella quale il principe Krishna interviene favorendo l’esercito dei Pandava. Non c’è tema di religione, filosofia, religione, misticismo, che non sia trattato da questa grande epica. Essa contiene i più alti e nobili principi morali, lezioni utili di tutti i tipi, innumerevoli storie, episodi, parabole e dialoghi che rafforzano i principi morali e metafisici. Il Mahabharata comprende la Bhagavad Gita, il dialogo tra Krishna e Arjuna, uno dei principi Pandava, che avviene sul campo di battaglia prima dello scontro finale fra i due eserciti. Il poema, universalmente noto, che presenta Krishna come figura divina, è ricco di insegnamenti etici ed è una guida sui differenti sentieri (marga) dello yoga. Un’appendice del poema è lo Harivamsa, “La stirpe di Hari”.

Ramayana

Il primo poema epico, ad opera del saggio Valmiki, il quale tratta la storia del re di dinastia solare Rama o Ramacandra, della sua nascita, educazione e matrimonio, il suo esilio durante il quale avviene il rapimento di sua moglie Sita da parte del demone Ravana, re di Sri Lanka, che egli poi sconfigge, liberando Sita. Attraverso le vicende e la personalità ideale dei personaggi, Rama e Sita, i principi etici del dharma vengono spiegati in modo accessibile a tutti e si offrono modelli di comportamento, esempi di nobili qualità umane quali il coraggio e la fedeltà, e il poema dà un’immagine viva della vita nel massimo sviluppo della civilizzazione vedica.

Purana

“Purana” significa “antico”, ma non in senso solamente storico del termine bensì ontologico. Antico è per eccellenza il Brahman, l’Assoluto; è l’antica verità dei Veda e trasmessa oralmente da bocca a orecchio.
I Purana sono custodi e portavoce di questo sapere vedico, ma lo adattano in una forma semplificata.

Come gli Itihasa, anche i Purana sono indirizzati a tutti, non solo ai sacerdoti o agli eruditi. Trasmessi da una categoria di cantori o bardi, i suta, i Purana hanno carattere enciclopedico. Contengono racconti edificanti, riferimenti al culto, alla mitologia, all’iconografia delle principali Divinità dell’induismo classico, celebrazioni, mahatmya, di luoghi sacri, tirtha, di Divinità e di figure sante. Si pone molta enfasi sulla devozione, bhakti, sul pellegrinaggio, yatra, sui voti, vrata, e sulla pratica della carità, dana.
Si ritiene che in origine vi fosse un solo grande Purana di dimensioni enormi ed eterno. Questo Purana sarebbe stato poi ridotto a 400000 mila strofe suddivise in 18 parti maggiori, Maha-purana, a cui se ne aggiungono 18 minori,Upa-purana. I Purana sono solitamente divisi in base alla qualità dominante (guna), sattva, rajas, tamas, quindi associati rispettivamente a Vishnu,nella funzione di preservatore, a Brahma in quella di creatore, e a Shiva in quella di trasformatore. Tradizionalmente i Purana sono considerati aventi 5 caratteristiche, pancalakshana. Tuttavia tale attribuzione è più artificiale che reale, infatti, queste cinque tematiche non sono presenti in moltissimi testi puranici. I pancalakshana sono:
1) creazione dell’universo, sarga
2) ciclicità del cosmo, pratisarga
3) la genealogia degli Dei, vamsha
4) epoche cosmiche, manvantara
5) storia delle grandi dinastie: solare e lunare, vamshanucharita

Kavya, la letteratura d’arte

Il Kavya può essere definito la letteratura d’arte,la poesia ornata indiana. Si distingue, infatti, per un raffinato impiego di tropi, alamkara e si struttura su una elaborata scienza del suono a cui è affidato il compito di veicolare il significato. Le parole sono scelte accuratamente al fine di produrre una relazione inscindibile tra suono, shadba e significato, artha.
Lo scopo principale del Kavya è suscitare il rasa: il sentimento, l’esperienza estetica, paragonabile a quella mistica. Altri commentatori (Anandavardhana IX sec.) hanno preferito l’espressione “suggestione”, dhvani.
Il Kavya può essere studiato in base alla sua:
– fruizione – può essere shravya, udito, quindi destinato alla lettura o può essere drishtva, visto, attraverso la rappresentazione drammatica.
– composizione – può essere in versi, padya; in prosa, gadya; un misto di versi e prosa, mishra.
– estensione – può essere breve, laghukavya; lungo, mahakavya.
Il topos principale del Kavya è l’amore in unione, sambhoga, o in separazione, vipralambha.
Tra i massimi esponenti del Kavya si incontra Kalidasa uno dei “nove gioielli” alla corte del re Gupta Candragupta II.

Secondo periodo dei Sutra o dei Darshana (letteratura filosofica)

Testi redatti dai fondatori delle diverse scuole di pensiero filosofico attraverso i quali si riordinarono in maniera più sistematica e concisa (in forma di sutra appunto) le correnti di pensiero.
I punti di vista o darshana e i relativi testi sono:
– purva-mimamsa Mimamsa-sutra di Jaimini
– uttara-mimamsa Brahama-sutra o Vedanta-sutra di Badarayana
– samkhya Samkhya-karika di Kapila
– yoga Yoga-sutra di Patanjali
– nyaya Nyaya-sutra di Gautama Aksapada
– vaisheshika Vaisheshika-sutra di Kanada.

Tantra “struttura, sistema, trattato dottrinale”

Con la definizione generica di “tantra” si racchiude un’enormità di testi di carattere sia religioso che laico. “Tantra” deriva dalla radice sanscrita “tan” che vuol dire “tendere, ordire”, e, ancora, “struttura, sistema”, “trattato dottrinale”. Con questo termine ci si riferisce anche a testi delle tradizioni jaina e buddhista. Generalmente indica i testi della dottrina shakta, nonché la letteratura in cui è custodita la vita religiosa e delle diverse tradizioni, sampradaya, indù.
I Tantra comprendono testi di Hatha-yoga, trattati relativi al culto, all’adorazione dei diagrammi mistici e così via. I testi tantrici rivendicano il carattere dell’ortodossia: infatti essi si dichiarano shruti e agama (tradizione sacra tramandata), e si definiscono il quinto Veda.
Il tantrismo assume un ruolo determinante nel momento in cui nell’uomo viene meno la capacità di comprendere le verità contenute nelle Upanishad. Esso offre agli individui dell’era attuale, kali-yuga, la possibilità di liberazione dal ciclo delle rinascite, attraverso un sistema evolutivo contenente l’essenzialità del culto sacrificale vedico, del monismo upanishadico, della bhakti espressa nei Purana, dello yoga esposto da Patanjali e degli elementi mantrici dell’Atharva-veda.
I Tantra, tradizionalmente, sono composti da alcune parti dottrinali, da altre dedicate ai rituali, all’adorazione e a tecniche spirituali. Essi comprendono gli Agama.

Agama

Agama significa “ciò che è stato tramandato” e si riferisce ad una antica tradizione riguardante l’adorazione della divinità e i suoi aspetti filosofici, psicologici e ritualistici, rivelati sia oralmente sia attraverso testi scritti.
È la rivelazione di una conoscenza tradizionale (agama), ossia quella che esce dalla bocca di Shiva e penetra nell’orecchio di Parvati. Quando, al contrario, è Parvati a rivelare la conoscenza a Shiva, è detta nigama. Gli Agama si fanno risalire principalmente alle fonti shaiva e shakta, ma quelli in congiunzione con il pancaratra si attribuiscono anche alle fonti d’ispirazione vaishnava.
Il Pancaratrika Vidhi, che è la combinazione dei sistemi ritualistici vedici e tantrici, è alla base della compilazione dei Vaisnava Tantra. Tradizionalmente sono elencati 64 testi classificati in base alla Divinità in essi adorata.
shaiva: 28 Agama classici
vaishnava: Pancaratra, Vaikhanasa
shakta o tantra: Mahanirvana, Kularnava, Pancasara, Tantraraja, Rudrayamala, Brahmayamala, Visnayamala, Todala.

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